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HO PESCATO UN’EMERGENTE NELLA RETE. E ADESSO HO PAURA…
Intervista a Alessandra Startari: il suo romanzo è in vendita in tutti gli store digitali e s’intitola “Niente può uccidere di più”
Di Angelo Martini
C’è stato un tempo, e non direi remoto, in cui tonnellate di carta si affollavano nell’atrio delle case editrici. Un tempo in cui una serie di addetti ai lavori doveva valutare migliaia di romanzi: belli, brutti, brevi, prolissi, interessanti, terribili. C’è stato un tempo, e ora non è più così, in cui un emergente impiegava anni per essere notato. Anni. Spesi bene, spesi male, spesi e mai risarciti.
Oggi l’emergente si pubblica da sé. Si chiama self-publishing, si tratta di un e-book ed è in formato e-pub. Quante parole per definire un libro. Niente più quintali di carta, ora la scrittura è digitale, l’autore è virtuale ma la notizia, l’informazione, la storia che ci racconta resta autentica.
Oggi lo scrittore emergente può arrivare nelle nostre case senza passare dal limbo delle anime in attesa. Resta solo un dubbio: ne vale davvero la pena? Se sono io a pubblicare il mio lavoro, come so che merita? Ed ecco che nuove figure sibilline entrano a far parte di questo universo digitale: sono gli avatar dell’editore, sono scouting, sono pescatori di talenti. Sono loro che scovano chi merita nella rete. Lo pescano e poi lo cucinano. Sì, per il grande mercato, per servirlo nei migliori store anche in carta.
Io ho pescato una scrittrice emergente, alla sua prima pubblicazione. Lei però non è esattamente un pesce che naviga in acque sconosciute: è una giornalista. Si chiama Alessandra Startari e il suo romanzo è in vendita in tutti gli store digitali e s’intitola “Niente può uccidere di più”. L’ho acquistato, lo sto leggendo, non l’ho ancora finito ma non ho resistito. L’ho contattata, dovevo assolutamente farle una domanda. Poi gliene ho fatte dieci ed è diventata un’intervista.
Niente può uccidere di più, cioè? Cos’è che uccide più di tutto il resto?
Lo scoprirai alla fine. È la chiave della storia.
Non posso saperlo ora?
Potrei dirtelo. Ma poi dovrei ucciderti. (ride)
Cosa c’è di vero in quello che racconti?
Tutto. I nomi sono falsi, la vicenda è manipolata e le location non sono quelle reali, ma ciò che dico è verità.
Ma tu parli di una cospirazione ai danni dell’intera umanità. Devo pensare che sia in atto?
(ride di nuovo) Il novecento è stato il secolo delle grandi scoperte tecnologiche, l’inizio della violazione della privacy, dello spionaggio informatico e della manipolazione mentale. La cospirazione è in atto da un centinaio di anni, più o meno. Non l’ho scoperta io.
Non tutti cercano vendetta, alcuni cercano solo la verità. E come?
Ti parlo di Giovanni, il protagonista. Ha 29 anni, fa l’impiegato, corre nel tempo libero. Figlio di un giornalista rispettato in tutto il mondo. Uno con una vita ordinaria e un carattere irrequieto. Giovanni è lo specchio di una società in crescita, di giovani indecisi e senza uno scopo. Lui ha un lavoro che non lo soddisfa e una rabbia interiore che sfoga sulla pista quando va a correre. Non riesce nemmeno a tenersi stretta la donna che ama, perché lei è impegnativa. È spagnola, ricca e testarda. Suo padre però mette le mani su informazioni top secret e finisce ammazzato. Da quel momento la vita di Giovanni non ha più un equilibrio ma ha uno scopo. E a forza di correre sul filo del rasoio, smette di essere una pedina tra le tante e si scopre un giustiziere. Ma non un vendicatore: lui non è e non sarà mai un guerriero. C’è differenza, credimi.
Come fa un impiegato qualunque a finire in mezzo a una cospirazione globale?
Sono in tanti a mettergli la pulce nell’orecchio. Un collega del padre afferma che non è stata una tragica fatalità: lo hanno ucciso. Il cadavere scompare dall’obitorio. Il referto autoptico non si trova. Il suo datore di lavoro si finge improvvisamente suo alleato per costringerlo a recuperare le informazioni che aveva trafugato il padre prima di morire. A questo punto anche uno sprovveduto mangerebbe la foglia. E direi che Giovanni è tutto meno che uno sprovveduto.
Nella storia Giovanni ha un alleato, un ragazzo di vent’anni che non è uno qualunque: è un analista. Un genio informatico. È lui a illuminare Giovanni sulla verità che si nasconde dietro la morte del padre.
Sì. Marco rappresenta l’altra faccia della società moderna: giovanissimo e già consapevole. Un hacker, uno che usa la tecnologia per far tornare i conti a suo vantaggio. Marco sa cosa sta succedendo e non può dirlo. Generalmente chi conosce gli ingranaggi del sottosuolo non va mai a spifferarli in superficie. Verrebbe preso per un mitomane prima, e ucciso poi.
È così che va il mondo: se cerchi la verità, finisci ammazzato…
L’ideale sarebbe camminare con i para-occhi. Oppure restare addormentati per sempre. Sapere cosa sta succedendo all’umanità non sempre è un bene. Magari non tutti vengono perseguitati per questo, ma di sicuro soffrono e non smettono di pensarci. Qui si parla d’amore e morte, di un complotto che è fuori dalla portata di chiunque, e nonostante ciò un uomo normale può far luce sulla verità. Perché la volontà umana non ha limiti.
Fai una citazione nel romanzo: Socrate. Chi vuol muovere il mondo, prima muova se stesso.
Giovanni lo dice alla sua fidanzata, durante una fuga in Messico. Lei vorrebbe nascondersi e lui non smette mai di muoversi. Per cambiare le cose, bisogna lottare, anche a costo della vita.
Non ti chiederò come va a finire, ma cosa speri di far arrivare.
Ci sono uomini che cambieranno il mondo e altri che lo attraverseranno soltanto. Tu chi vorresti essere?
Sorrido. Ora è lei che mi intervista e ho idea che sia brava a farlo, è il suo mestiere. Mi tiro indietro. C’è una cosa che ho capito da questa chiacchierata: il messaggio che svela nel romanzo deve essere serio, perché non lo ha nemmeno accennato e la sua voce sulle parole “cospirazione”, “società” e “sottosuolo” si è incrinata. Non so perché ma adesso ho paura anch’io.
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